Brano consigliato: Le sirene di Murubutu e Claver Gold
4,20 km è il tracciato che si percorre volendo disegnare - camminando o correndo - il perimetro del lago. Ci vogliono ventitre minuti per percorrerlo tutto, nel mio caso correndo a un ritmo costante, né troppo lento né troppo veloce. Il ritmo dei miei passi è di 5 minuti e 47 secondi al chilometro. A quel tempo si allinea prima il respiro, poi lentamente la mente, e infine tutto il corpo. Alla fine della corsa, mi sento in perfetta sintonia con il paesaggio che mi circonda.
Non sono mai stata troppo amante delle statistiche eppure mi capita spesso di tener traccia dei miei allenamenti. Alle volte per curiosità, altre per competizione personale e altre ancora, come oggi, per coglierne piccoli dettagli invisibili all’occhio: una piccola magia nascosta dietro a quei numeri.
Ho preso l’abitudine di concludere la corsa sempre nello stesso punto: una passerella di legno che si allunga sull’acqua. È una terrazza sul lago da cui posso abbracciare con lo sguardo l’intero tracciato appena percorso. È lì che tutto si ricompone: il corpo rallenta, il respiro si fa sempre più silenzioso, la mente rielabora il tragitto.
Intorno a me, osservo la vita che popola queste sponde: riconosco, per grandi linee - e con l’aiuto della tabella riepilogativa sulla biodiversità locale - la fauna del luogo. Sono per lo più uccelli acquatici: aironi, rallidi, anatre, cigni reali. È la loro presenza discreta a dar vita a questo luogo.
Mi concedo una sosta sulla passerella, spesso seduta con i piedi a penzoloni sull’acqua. Da questa prospettiva riesco a vedere, oltre il mio riflesso, la vita che scorre dentro quelle acque. Vite animali e vegetali che si intrecciano e creano un ecosistema irripetibile retto da un equilibrio unico nel suo genere.
Dopo aver appagato la vista, è un altro senso che il luogo risveglia, spostando l’attenzione altrove. Ora è l’udito a risvegliarsi, catturato da un canto sommesso che pare arrivare da un piccolo gruppo di cigni reali poco distante. Non è il solito suono gutturale e profondo, ma una melodia lieve e soave, le cui parole, però, mi sfuggono. Non è l’enigma del significato a catturarmi, ma la potenza di quel suono, un richiamo irresistibile per ogni fibra del mio corpo.
Avvicinandomi al gruppo di cigni, ne colgo l’essenza mitologica: busto e volto di donna, corpo d’uccello con ali piumate e canto ipnotico che vibra nell’aria. Sono le sirene del Fimon. Mi accorgo di essermi ancora una volta allontanata dalla realtà; ricordando l’incontro con il traghettatore, cerco di scuotermi dal torpore in cui, senza accorgermene, sono ricaduta.
Il tentativo è inutile, il momento di tornare alla realtà è ancora lontano. Rinuncio all’idea e mi abbandono all’ipnosi di quel canto, alla ricerca di messaggi nascosti dietro l’ennesima esperienza trascendentale che sto vivendo.
Mi ritrovo ad essere spettatrice di storie intrecciate dal comune filo dell’amore, figlie del richiamo incantato e distruttivo delle sirene che si posa sulle orecchie dei loro protagonisti.
La prima è la storia di un amore fraterno tra due amici cresciuti a pochi passi dal lago. La loro forza risiede nell’unione profonda che li lega, un legame raro e autentico, evidente agli occhi di chiunque li osservi dall’esterno. Fin da piccoli hanno frequentato quel luogo con costanza: prima scenario dei loro giochi spensierati, delle corse sfrenate all’inseguimento degli animali del posto, poi testimone dei loro primi amori adolescenziali ed ora terra franca dove le pressioni della vita adulta sembrano non esistere. Le sponde di questo lago sembrano aver accolto, nel tempo, una promessa: quella di esserci sempre, reciprocamente senza bisogno di parole o di qualsiasi altra forma di dichiarazione esplicita.
Anni dopo, anche se le loro strade hanno preso direzioni opposte, hanno conservato un rituale: incontrarsi almeno una volta l’anno sulle sponde del lago, per raccontarsi come procedono le loro vite. Ma quell’anno qualcosa è cambiato. L’incontro sulle rive del lago porta con sé una rivelazione amara: uno dei due reca la notizia di un raro male degenerativo, capace di cancellare i ricordi e offuscare i volti più amati. È per questo che ha scelto di restare lì, tra quelle acque e quei sentieri che custodiscono la loro storia, deciso a vivere gli ultimi giorni in compagnia dell’unico luogo che il tempo non potrà mai cancellare dalla sua memoria.
Nascoste tra la fitta vegetazione, le sirene avevano assistito a quel momento di confidenza fraterna. Avevano percepito la fragilità di quell’uomo e, con la pazienza delle antiche creature, attesero il momento giusto. Poi, un giorno, sulle rive del lago si levò un canto irresistibile, dolce e insieme inquietante: la loro melodia ipnotica, che prometteva di cancellare il dolore e riportare la mente a un’apparente pace. L’amico si lasciò trasportare da quella voce, i suoi occhi si fecero vuoti, come se fosse stato catturato da un incantesimo. Senza esitare, si avvicinò all’acqua; il richiamo sempre più forte lo fece scivolare oltre la riva, quasi abbracciando quel destino che sembrava offrirgli sollievo. L’altro restò immobile, il cuore stretto dal terrore e dalla disperazione. Ma non poteva lasciarlo andare. Senza pensarci, si gettò a sua volta nelle acque inseguendo l’amico, proprio come anni addietro rincorrevano insieme gli animali. E mentre le acque li avvolgevano, il legame che li univa si fece ancora più vivido.
Oggi, chi passa sulle rive del lago può vedere due alberi vicini, le cui chiome si intrecciano formando la sagoma di un abbraccio. Così il loro legame vivrà ancora a lungo nel tempo in quel luogo.
La seconda storia narra di un amore carnale, passionale tra due giovani amanti. Si sono conosciuti in un pomeriggio d’estate, sulle sponde quiete del lago. Lei cammina lungo il sentiero, sfiorando con un ramoscello l’acqua, mentre lui, seduto su una passerella di legno, riempie un taccuino di schizzi. I loro sguardi si sono incrociati come se fosse inevitabile. Un saluto timido, poi una conversazione breve, ma intrisa di una curiosa intimità. Il lago divenne presto il loro rifugio. Ogni incontro è un frammento di tempo rubato: mani che si cercano tra i canneti, baci clandestini scambiati all’ombra dei salici, corpi che si stringono su quella riva dove il resto del mondo non può raggiungerli.
Lei sa di rischiare: il suo destino era già stato scritto, promessa sposa a un uomo che non ha mai scelto. Ma tra le braccia di quell’altro, il futuro smette di pesare. Col passare delle settimane, il desiderio si fa più forte della paura. Una sera, sotto un cielo attraversato da nuvole basse, lei gli confessa che ha deciso di rompere il fidanzamento. Lo lascerà. Inizieranno una nuova vita insieme. Lui le prende il volto tra le mani e la bacia, mentre l’acqua alle loro spalle si increspa come se li stesse ascoltando.
La notizia, presto, raggiunge anche l’uomo a cui è stata promessa. La rabbia gli corrode i pensieri, finché non rimane solo un’ossessione: vendicarsi. Li pedina, seguendo i loro passi fino al solito luogo, quella riva complice dei loro segreti. È sera quando li trova. Lei ride, il vento le solleva i capelli, e lui la stringe come se tra le sue braccia lei trovasse il suo unico rifugio. Il promesso sposo, accecato dalla gelosia, esce dall'ombra con la ferma volontà di strapparle la vita. Lei si volta e nei suoi occhi lampeggia la paura.
Fu allora che dalle acque si leva un canto. Una melodia antica, dolce e insieme terribile, che sembra provenire da ogni direzione. Le sirene hanno osservato il loro amore crescere e ora intervengono. Il suono avvolge la ragazza, attirandola verso l’acqua. Un passo, poi un altro, e la superficie si richiude su di lei, nascondendola dalla furia dell’assassino e dalla promessa di vivere l’amore con il giovane del lago.
Si dice che chi ancora oggi cammina lungo quelle rive possa deviare verso un tracciato chiamato Sentiero del Donatore, un percorso che ripercorre i luoghi in cui quell’amore proibito era nato. A idearlo è stato proprio il giovane amante, sopravvissuto a quella notte di sangue, che ha voluto così donare a chiunque vi passi la memoria di una passione che il tempo e la tragedia non sono riusciti a cancellare.
La terza storia narra di un amore proibito tra due giovani donne. Si conoscono in modo inaspettato, una sera di primavera, durante una festa di paese. Nella confusione generale i loro occhi si incrociano e il tempo si ferma. Non serve parlare: in quello sguardo c’è il riconoscimento di un’anima affine, un’intesa che non ha bisogno di spiegazioni. Da quel momento, ogni incontro è un piccolo atto di ribellione. E presto trovano il loro rifugio: il lago. Lì, lontano dagli sguardi, si tengono per mano, si sussurrano parole di tenerezza, si baciano senza paura.
L’acqua calma diventa complice silenziosa di un amore che, fuori da quel cerchio di pace, viene giudicato, deriso, ferito da parole taglienti e risate soffocate. La pressione cresce giorno dopo giorno. Ogni passo nel mondo esterno è un graffio, ogni gesto innocente diventa motivo di scherno.
Finché, una sera, tornano al lago e capiscono che non vogliono più separarsi, né continuare a vivere in un luogo che le respinge. Si siedono sulla passerella, stringendosi le mani come sempre, ma con un silenzio diverso negli occhi. È allora che si leva il canto delle sirene: dolce, seducente, quasi materno. Le creature hanno visto nascere il loro amore e hanno deciso di tenerlo per sé, di proteggerlo dal mondo crudele che non lo merita. Le ragazze si alzano, fanno un passo verso l’acqua, poi un altro. La melodia le guida, promettendo serenità e un abbraccio eterno. La superficie si richiude su di loro, senza rumore, come un segreto custodito per sempre.
Oggi, nelle notti più calme, chi si avvicina alle sponde giura di sentire un canto che parla di due anime che hanno scelto di amarsi fino all’ultimo respiro.
Il canto di quest’ultimo racconto si dissolve lentamente, come nebbia che si dirada al primo sole, e mi ritrovo a fissare un gruppo di cigni reali che scivolano sull’acqua, seguiti dai loro cuccioli disposti in fila indiana. Nessun volto umano, nessuna creatura mitologica: solo piume bianche che catturano la luce del tramonto. Respiro a fondo, quasi sorpresa di trovarmi ancora seduta sulla passerella.
Controllo l’orologio: 4,20 km – 23 minuti – 5’47’’/km. Non sono solo statistiche: sono la mia formula magica, la chiave segreta che ogni volta mi proietta altrove, in un mondo fatto di storie e amori che il tempo e la realtà non possono contaminare. Guardo sotto di me: la passerella di legno si allunga verso l’acqua come un ponte sospeso tra due dimensioni. È lì che tutto accade. È lì che la corsa termina e la fantasia inizia. Basta un passo, e il lago smette di essere solo lago.
Sorrido tra me e me. Forse le sirene non esistono davvero, o forse hanno solo scelto di nascondersi dietro ali bianche e colli eleganti. Forse non hanno bisogno di mostrarsi, sapendo che, ogni volta che torno qui, io so riconoscere il loro canto. Poi mi alzo, i piedi che ritrovano la solidità della riva. La vita reale mi riaccoglie con i suoi rumori e le sue urgenze, ma una parte di me resta sospesa sull’acqua, pronta a tornare, pronta a lasciarsi chiamare ancora.